Oltre le ruote c'è di più - Episodio 3 - L'essere donna nell'autotrasporto di oggi
La mia verità sull’essere donna nel mondo del trasporto
Perché la verità è sempre soggettiva
Un giorno ero in magazzino, come tutti stavo aspettando le ultime pedane di merce per poter andare in consegna. Ero in attesa insieme ad altri miei colleghi. Uomini.
Rileggete questa frase e immaginate tutti gli scenari possibili.
Quando lo avrete fatto, proseguite.
Stanchi di dover aspettare invano, bussiamo sul vetro e chiediamo dove fosse il camion che stavamo aspettando. La domanda la porgiamo sia io, che il mio collega, nella stessa identica maniera.
A me è stata data una risposta, al mio collega no.
A me hanno sempre aiutato a scaricare il camion nei magazzini, ai miei colleghi no.
Io vengo salutata con gentilezza, i miei colleghi no.
A me riservano il bagno pulito, ai miei colleghi no.
Quando sono rimasta a casa per la mia maternità, io ho avuto la possibilità di rimanere a casa sei mesi dopo il parto. Ai miei colleghi no.
Ai miei colleghi è stata data la possibilità di scegliere il viaggio, a me no.
Ai miei colleghi è mai stato bussato in cabina in piena notte? Non lo so.
A me hanno chiesto dove fosse mio padre, marito o fratello, ai miei colleghi no.
Dopo la maternità, ho dovuto rinunciare al mio lavoro, i miei colleghi no.
Potrei continuare all’infinito a porvi esempi di come e quando sono stata discriminata come donna e quando e come, invece, ne ho tratto vantaggio.
Tutti, in un modo o nell’altro, siamo stati ingabbiati in stereotipi che alla fine ci stanno scomodi.
Per esempio, l’educazione di una ragazza tipo come la mia, prevedeva che facessi un determinato tipo di scuola, che prediligessi sport femminili come la danza piuttosto che il karate, prevedeva di essere sempre gentile ed educata e mai aggressiva perché “non sta bene”.
Da noi ci si aspetta sempre l’eleganza e un certo modo di pensare, da mogli dobbiamo rispettare determinati ruoli e privilegiare prima la famiglia anziché il lavoro, da madri dovremmo mettere sempre e comunque al primo posto i nostri figli.
Gli uomini d’altro canto sono stati educati al raggiungimento degli obiettivi nonostante tutto, ad essere forti, a non mostrare le proprie debolezze, a essere coraggiosi a prediligere il lavoro per poter sostenere la famiglia.
Perché semplicemente non insegniamo ad assecondare la propria identità, trasmettendo i principi di gentilezza, rispetto e inclusione?
Rinchiusa dentro a certi modelli, ho iniziato a inquadrare la situazione fuori dagli schemi, lontano dagli stereotipi e il mio lavoro mi ha aiutato a farlo.
Ho visto donne aggressive e uomini sensibili, donne educate e uomini no. Ho visto uomini empatici e donne pure. Ho visto donne paterne e uomini materni.
Donne e uomini con caratteristiche differenti, vissuti e culture eterogenei, le proprie priorità, le proprie scelte, accomunati da un’unica, grande peculiarità: quello di essere persone.
Nella mia vita ho visto semplicemente persone.
La rivoluzione risiede in una sola e potente parola.
È il fatto di essere umani che deve valere, non il genere.
Il rispetto, l’educazione, l’interazione devono essere garantiti a tutti in qualità di essere umani. Così come le possibilità.
Allora il razzismo, la disparità di genere, il divario generazionale e quello salariale, il classismo spariranno e lasceranno il posto alla vera e totale inclusione.
Le libertà dell’individuo dovrebbero essere sempre rispettate, i confini della dignità e della volontà non dovrebbero mai essere oltrepassati, non rispettare le posizioni e le idee altrui è errato come concetto, indipendentemente dal genere o dall’etnia.
Tutti noi, in quanto persone, dovremmo avere la possibilità di poter scegliere chi vogliamo diventare e che vita vogliamo ottenere e dovremmo avere tutti le stesse opportunità di poter inseguire i nostri sogni, le nostre aspettative, le nostre inclinazioni.
Tutti (o quasi) siamo stati educati così, con una netta distinzione tra ciò che è da donna e ciò che è da uomo, come se i due generi venissero da due pianeti opposti (gli uomini da Marte e le donne da Venere, giusto?).
“È tempo che tutti noi percepiamo il genere in uno spettro non come due opposti insiemi di ideali” (Emma Watson, HeforShe speech, 2014)
Con queste considerazioni non serve riflettere su cosa significhi essere donna nell’autotrasporto, perché non c’è alcuna differenza con altri settori.
Non è nemmeno necessario riflettere su cosa significhi essere donna, se vogliamo cambiare le cose.
È opportuno piuttosto scindere i singoli comportamenti e decidere quali siano inclusivi e quali no e capire in che direzione vogliamo andare e quali opportunità vogliamo garantire alle persone del domani.
Dobbiamo decidere che strada prendere e comprendere che i comportamenti sbagliati vanno combattuti in quanto tali e non perché legati a un genere.