Intermodalità, le tre parole del rilancio: investimenti, formazione e programmazione
Cifre, numeri, percentuali. Tutto ruota attorno al "fattore intermodalità". Un asse necessario, portante se vogliamo, per garantire uno sviluppo sostenibile ai trasporti del "Sistema Italia". Un asse ancora da oliare, come dimostrano i numeri, soprattutto se si considerano i traguardi proposti dall'UE da qui al 2030 e poi fino al 2050 con il famoso Green Deal.
Gli ultimi dati parlano di oltre 500 miliardi da reperire per potenziare la rete infrastrutturale europea (clicca qui) da qui al 2050, mentre la situazione nel nostro Paese non è certo più rosea.
Secondo i dati snocciolati da Uip (International Union of Wagon Keepers) e Assoferr (Associazione Operatori Ferroviari e Intermodali), ripresi da Uomini e Trasporti, l'Italia è già indietro rispetto alla media europea. La quota di trasporto su gomma è alta, ancora all'84%, mentre quello su ferro è ferma al 12%. Un ritardo tangibile, sia se paragonata alla media europea (80% e 17%) e sia con l'obiettivo prefissato dall'UE del 50% entro il 2030. Un abisso. Soprattutto se l'altro punto da raggiungere a breve, quello del 70% di merci su strada, è ancora lontano.
Servono investimenti, il messaggio è chiaro. Risorse economiche non solo per innovare infrastrutture, ma anche locomotori e carri, facilitando così il trasporto. Serve formazione, per manager e altre figure che operano e opereranno nel settore. E serve programmazione, visto che oggi, come riportato nell'ultimo convegno firmato Fermerci, ci sono "interruzioni ferroviarie che stanno determinando una transizione infrastrutturale del settore, necessaria per consentire l’attuazione dei lavori del PNRR sull’infrastruttura ferroviaria, ma con una riduzione fino al 60% della capacità ferroviaria del trasporto merci".